LA PREDESTINAZIONE

(Dr. Donato Trovarelli)

 

Prima parte

Il piano di Dio, come Evangelo della Grazia, offerta gratuitamente

Il brano sulla predestinazione è in po' lungo, ma è tanto quanto basta all'apostolo Paolo per "dimostrare" che la salvezza, preparata fin dai tempi remoti, va accettata e che Gesù è il Salvatore, indicato fin dalla fondazione del mondo.

L'eccessiva sinteticità del suo discorso però ha generato nei secoli tanti equivoci e tante dottrine di perdizione, da snaturare completamente il messaggio pienamente e squisitamente SALVIFICO, che invece si sottintende ad ogni versetto citato.

Tutti coloro che, in passato e anche attualmente, hanno voluto speculare sulla parola di Dio, torcendola per renderla più adatta ad avallare le loro filosofie, hanno parlato di predestinazione incondizionata dell'individuo, invece di capire la predisposizione di un piano di previsione di salvezza o la predestinazione dei risultati di una scelta che si sarebbe compiuta in Cristo il Messia. Del resto, non conoscendo Gesù Cristo come "personale Salvatore, non potevano dire diversamente...

Lutero e altri personaggi famosi dicevano che alcuni brani, più che altri, si prestano ad essere considerati come delle sintesi di tutto l'Evangelo, cioè come degli Evangeli "in miniatura": Giovanni 3:16, Romani 10:10; 1 Corinzi 13 ed altri, che costituiscono lo spunto per ogni predicazione evangelistica.

Fra tali brani potremmo inserire anche Romani 9:6-33, ma non solo per uno scopo evangelistico, quanto anche per dei fini si sintesi "dottrinale"

Tenendo infatti a mente "tutta la Parola di Dio", come un grande e perfetto progetto di salvezza che va da Genesi 1:1 ad Apocalisse 22:21, vediamo come Romani 9:6-33 ce ne mostra in sintesi tutta l'architettura.

L'apostolo cita episodi, nomi e situazioni, che presi singolarmente non sono altro che una lettura a volte piacevole e altre volte poco edificante, ma se collegati opportunamente costituiscono il "file rouge" per capire il metodo che Dio ha usato per esplicare pienamente il Suo concetto di giustizia, in ordine alla salvezza eterna.

Parlare di "giustificazione per fede" nel Vecchio Testamento non è facile e né agevole, ma ciò diventa possibile solo se si ha la giuda dello Spirito Santo che ce la spiega, così come i discepoli sulla via di Emmaus ebbero un "occasionale" Maestro d'eccezione in Gesù Risorto, il Quale "cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo concernevano." (Luca 24:27) Solo "allora aprì loro la mente per capire le Scritture, e disse loro: Così è scritto, che il Cristo avrebbe sofferto e sarebbe risorto dai morti il terzo giorno, e che nel suo nome si sarebbe predicato il ravvedimento per il perdono dei peccati a tutte le genti, cominciando da Gerusalemme." (Luca 24:45-47)

"Cominciando da Mosè e da tutti i profeti", significa attraversare l'intera Bibbia e vederla da una angolatura particolare, cioè dal punto di vista della figura messianica presentatasi realmente e conclusasi con una incredibile e stupefacente resurrezione. Questo è il discorso che l'apostolo Paolo cerca di sintetizzare in Romani 9:6-33.


 


 

Commenti ed osservazioni

Dalla lettura del brano si evincono le seguenti considerazioni

1) Israele naturale ed Israele "spirituale".

Prima scrematura o prima filtratura: il figlio della libera

Seconda scrematura o seconda filtratura: tra i figli della libera... quelli ubbidienti

IN ed OUT distinguono le scelte di Dio ed i... rifiuti, a vario titolo.


 

IN: Adamo, Abele, Giacobbe, le 12 tribù in Egitto, Davide, undici discepoli di Gesù, il ladrone di destra, vasi di misericordia.

OUT: Adamo ed Eva, Caino, Esaù, Faraone, Salomone, Giuda, il ladrone di sinistra, vasi d'ira.


 

Due vie preparate, per due offerte o due destini: prima che l'umanità scelga il suo destino, le due strade sono già state costruite davanti a lui. Questo è in sintesi il concetto di predestinazione paolina.


 

Paolo vuole dimostrare che non tutti i figli di Abramo sono “veri” figli d’Abramo. Già Giovanni Battista aveva accennato a questa problematica quando aveva detto che Dio avrebbe potuto far sorgere “veri” figli d’Abramo dalle pietre (Mt 3:9).

Paolo però rivede questo concetto, non più sul piano individuale, ma sul piano storico-nazionale, dimostrando che la separazione tra il figlio eletto (Isacco) e il figlio della carne (non menzionato, ma è Ismaele) è già avvenuta tramite la promessa abramitica riguardante la sua progenie. Figli di Abramo sono coloro che, come lui, credono alle promesse di Dio

Il caso di Esaù e Giacobbe dimostra ancora di più questa scelta divina dal momento che essa è avvenuta prima che essi avrebbero potuto compiere qualsiasi azione, sia buona che cattiva. L’enfasi è posta sul “proponimento di Dio” che non dipende dalle loro opere.

Il vanto dei Giudei di fronte al giudizio di Dio era quello di essere figli di Abramo e quindi avere «il diritto» di essere eletti da Dio secondo la sua promessa. Ciò che però Paolo vuole sottolineare con queste parole sono principalmente due cose:

La prima è che il fatto che Israele non accetti Gesù, e quindi non entri a far parte della chiesa, non dimostra che le promesse di Dio sono venute meno. Questo perché le promesse di Dio non erano rivolte a tutti i figli d’Abramo, ma solo al figlio della promessa. Nello stesso modo anche le promesse rivolte a Israele non erano destinate a tutti i figli di Giacobbe, ma solo a coloro che si dimostravano “veri” figli della promessa. Come infatti anche nel passato solo un piccolo residuo di Israeliti fedeli aveva portato avanti il piano di Dio in mezzo a una nazione ribelle, così adesso solo un rimanente fedele portava avanti la salvezza in mezzo a un popolo incredulo. Il fatto che Israele come nazione non entrasse a far parte della chiesa mentre vi entravano gli stranieri, non impediva però al singolo israelita di essere salvato personalmente tramite la fede in Gesù.

La seconda cosa evidenziata da Paolo è che l’elezione non avviene per meriti particolari da parte del soggetto scelto, ma solo per un atto sovrano di Dio. Isacco, per esempio, non aveva alcun vanto di fronte a Ismaele perché l’unico suo vantaggio era quello di essere nato dalla moglie Sara anziché da una delle serve. In quanto a Giacobbe, ciò è ancor più evidente perché Dio aveva già operato la sua scelta prima che nascessero, e nonostante avessero lo stesso padre e la stessa madre (anzi, erano addirittura gemelli!). Vi è forse ingiustizia in questo? No: per tre ragioni. La prima è che Jahvé non è un uomo ma è Dio, e come tale è onnisapiente e misericordioso per natura. Questa sua misericordia è visibile attraverso tutta la storia d’Israele, in cui egli ha perdonato ripetutamente il suo popolo disubbidiente, ma anche riguardo agli stranieri, verso cui ha usato pazienza per i loro peccati in attesa di rivelare Cristo (3:25, 26). Di un Dio simile ci si può fidare anche se si comporta in modi che vanno al di là della nostra comprensione (cfr. Gb 11:7-9; Is 55:9). La seconda è che tale scelta non è arbitraria. Benché è detto che egli scelse prima della nascita, i fatti inerenti la vita dei suoi personaggi gli diedero ragione. Esaù si dimostrò infatti indegno della primogenitura che svendette dimostrandone disprezzo. Pertanto, se è vero che la scelta di Dio ebbe luogo prima della loro nascita, è anche vero che si basava sulle qualità morali e di fede dei soggetti che Dio nella sua sapienza aveva già antiveduto.


 

2) La legge cristiana della superiorità di chi serve

La legge di Gesù è il contrario della logica umana, perché è maggiore colui che serve e non chi è servito.

La terza ragione è che queste parole di elezione e ripudio sono piuttosto rivolte alle nazioni discendenti da Esaù e Giacobbe anziché a loro stessi. Questo lo si vede ad esempio nelle parole «il maggiore servirà il minore», perché Esaù non servì mai Giacobbe (anzi, questi si inchinò di fronte a Esaù – Ge 33:3), ma gli Edomiti suoi discendenti furono assoggettati a Israele e Giuda per lunghi periodi (2 Sa 8:14; 1 R 22:47; 2 R 14:7). In quanto alle parole «ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù» (Ml 1:2-4), esse furono scritte 1400 anni i fatti della loro vita, e nel contesto si parla delle nazioni loro discendenti piuttosto che dei singoli individui. È infatti spesso evidente nell’A.T. il parlare delle comunità in termini dei loro antenati, e l’odio di Dio in quel caso era dovuto a causa della condotta sleale di Edom nei confronti d’Israele quando questi era in disgrazia. Abbiamo già detto che questo ripudio nazionale non impediva che il singolo Edomita potesse giungere alla salvezza tramite una fede personale nel Dio degli Ebrei. Di conseguenza anche il ripudio delle masse incredule d’Israele non aveva impedito a Dio di accettare il singolo Giudeo che poneva fede nel Salvatore.


 

3) Le figure messianiche nel Vecchio Testamento

Dio sapeva dove voleva arrivare: al mar Rosso e alla distruzione dell'armata faraonica

Da quel momento il piano di salvezza è ben connotato:

Faraone e Mosè sono i ruoli di personaggi che nel Nuovo Testamento cambieranno nome...

faraone = satana

Mosè = Gesù

Mar Rosso = Sangue versato sulla croce

Egitto = schiavitù nel peccato

Deserto = libertà dal peccato

La manna = la Parola di Dio

La roccia = la fonte della Grazia

Il legno di Mosè = il legno della croce

Dio adesso pone una drammatica domanda ad ogni uomo: o col Faraone o con Mosè

Ecco allora che gli egiziani rimangono col Faraone mentre UNA GRAN FOLLA si unì al popolo di Dio.


 

Questa volta è il testo stesso che pone la domanda: «Vi è forse ingiustizia in Dio?». La risposta si ripete: «No di certo». Come motivazione a questa risposta Paolo cita due passi biblici che in realtà potrebbero lasciare ancor più perplesso il lettore.

Il primo dice: «Avrò compassione di chi avrò compassione e avrò misericordia di chi avrò misericordia» (Es 33:19). L’occasione in cui Dio pronunciò quelle parole fu subito dopo il patto stabilito tra Dio e l’uomo, patto che era garantito dall’impegno di Dio (Es 19:5, 6), ma era altresì condizionato dall’ubbidienza del popolo (Es 19:8). Israele però ruppe subito il patto (Es 32) svincolando Dio da ogni “dovere” di mantenimento. Per questa ragione egli disse quelle parole, per ricordare a Israele che egli non ha più alcun diritto verso Dio e non ha alcuna giustificazione per opporsi a ciò che lui dice. Pertanto, se Israele potrà continuare a sussistere sarà solo per la misericordia di Dio. La rilevanza di queste parole è che la misericordia di Dio ha la sua motivazione in lui, e non è soggetta alla volontà degli uomini.

Il secondo brano citato fa riferimento al faraone, e dice che fu suscitato da Dio per dimostrare la sua potenza IN GESù AGNELLO (Es 9:16). Questa citazione è usata da Paolo per confermare che Dio indurisce chi vuole. Tuttavia l’indurimento prodotto da Dio nel faraone, è stato forse arbitrario? Il testo di Esodo ci lascia capire di no. Infatti, il racconto dice che il faraone indurì il proprio cuore per ben dieci volte (Es 7:13, 14, 22; 8:15, 19, 32; 9:7, 34, 35; 13:15), mentre è anche detto che per dieci volte Dio indurì il cuore del faraone (Es 4:21; 7:3; 9:12; 10:1, 20, 27; 11:10; 14:4, 8, 17). L’indurimento del cuore del faraone è la necessaria condizione per stabilire un piano di salvezza IN GESù


 

Eppure, nonostante ciò, la giustizia di Dio è ancora contestata. Ma a quella contestazione la risposta di Paolo è secca e perentoria: «chi sei tu, che replichi a Dio?» Non ripeto l’analogia del vaso d’argilla di cui ho già parlato nel riassunto, ma da questo si deduce che il rapporto tra Dio e l’uomo è come quello tra il vasaio e l’argilla. Tuttavia, vi è un’importante differenza: i vasi non sono fatti a immagine del vasaio, sono materiale inerte, perciò non possono criticarlo; l’uomo invece è fatto a immagine di Dio, e perciò può obbiettare alla sua opera. Ma c’è modo e modo di obbiettare. Una cosa è l’obiezione derivante dalla fede (vedi Giobbe, Geremia, Habacuc e altri.) che sollecita Dio a spiegare i suoi misteriosi modi di agire, un’altra cosa è invece l’obiezione derivante dall’incredulità e dalla disubbidienza, attraverso cui l’uomo vuole ergersi a giudice e censore dell’onnipotente. Nel primo caso, Dio ascolta quando l’uomo di fede gli rivolge delle domande, perché sa che partono dalla premessa di sapere che Dio è santo, giusto e amorevole. Nel secondo caso, invece, Dio non sopporta l’arroganza e la presunzione di un interrogatorio malizioso, e l’apostolo si rivolge così duramente a quelli che fanno ciò per chiudere loro la bocca ricordandogli che sono solo creature, mentre Dio è il Creatore. Ad essi Paolo ricorda che il vasaio ha il diritto con la stessa argilla di fare un vaso per uso nobile e uno per uso indegno, e l’uomo non può accusare Dio d’ingiustizia se decide di mostrare la sua severità a coloro che meritano la sua ira, e misericordia a coloro che sono oggetto della sua grazia. Come creatura l’uomo non potrebbe giudicare Dio in ogni caso, neppure se Dio fosse veramente ingiusto; tantomeno può farlo ora, visto che la sovranità di Dio si è rivelata nella sua pazienza affinché tutti gli uomini siano salvati e arrivino a conoscere la verità (1 Ti 2:4) Dunque, Dio non è responsabile verso l’uomo di ciò che compie. Tuttavia si può essere sicuri che agirà in coerenza al suo carattere di santità e amore che ha rivelato in massimo grado attraverso la persona di Cristo. Con un tale Dio in cui confidare, perché dovrebbe ancora l’uomo dubitare del modo in cui egli opera?


 

4) L'opera creatrice di Dio è tuttora in atto: la catarsi

Il vaso nobile è una catarsi.

Il vaso ignobile è una non-scelta, cioè la scelta di un destino già apparecchiato

Dio non ha mai smesso di essere il vasaio e continua la sua creazione qiorno dopo giorno, finchè il TEMPO della Grazia è ancora aperto

Come vasaio egli compie la catarsi dell'uomo.

In questi versetti dobbiamo rivolgere particolare attenzione a due verbi in particolare che nella versione Nuova Riveduta sono entrambi resi con «preparati», ma nell’originale greco si tratta invece di verbi differenti. Analizziamoli uno per volta.

Il primo compare al v. 22 ed è katêrtismèna (gr.: ), che è un accusativo, neutro, plurale del participio perfetto, nella forma medio-passiva, del verbo katartìzô (gr.: ). Questo verbo ha il significato principale di «preparo, apparecchio, dispongo». È importante rilevare che il perfetto greco non ha due forme differenti per il passivo e per il medio (che corrisponde al nostro riflessivo) – come invece hanno l’aoristo e il futuro – per cui il verbo potrebbe significare: sia che «sono stati preparati per la perdizione» (passiva), sia che «si sono approntati (così reso dalla versione Paoline) per la perdizione». Da notare che qui si parla di «essere preparati per la perdizione». Un parallelo simile, ma inverso – riguardante cioè la salvezza – lo si può ritrovare in Atti 13:48. In quel caso è scritto: «... tutti quelli che erano ordinati a vita eterna credettero». Il verbo qui usato è tetagmènoi, un nominativo, maschile, plurale del participio perfetto medio-passivo del verbo tassô (gr.: ). Questo verbo ha il significato di «ordinare, schierare, disporre», e viene usato in particolare in senso militare quando si vuole indicare «lo schierare un esercito in fila o in battaglia». Esso, come sopra, è reso con un participio perfetto, ed è sempre medio-passivo. Pertanto la frase può significare: sia che «sono stati ordinati a vita eterna», sia che «si sono disposti a vita eterna», con significato riflessivo. Entrambi i verbi quindi possono indicare che l’atto di disporre a vita eterna o a condanna eterna possono venire da un agente esterno (Dio), oppure dalla loro propria disposizione interiore (fede). Pertanto, chi sostiene l’assoluta predestinazione divina non può poggiarsi su questi verbi per sostenerla, proprio a motivo della doppia valenza che nella forma in cui sono scritti essi hanno.

Il secondo verbo da esaminare è proêtoìmasen (gr.: ), un aoristo indicativo dal verbo proetoimazô (gr.: ). Questo verbo ha il significato di «preparare, tenere pronto» e in alcune traduzioni è reso con «predisposto Questo verbo è usato soltanto un’altra volta nel N.T., e precisamente in Efesini 2:10 in cui Paolo parla delle opere buone che Dio ha precedentemente preparate affinché le compissero coloro che erano salvati. Lì per lì, l’uso di questi due verbi in situazioni analoghe, può dar da pensare a un’opera di predestinazione assoluta da parte di Dio. Tuttavia, leggendo il brano nel contesto del capitolo ottavo, e soprattutto il versetto 29, appare chiaro che il predestinare di Dio segue, ed è in un certo senso condizionato, dalla sua preconoscenza. Dio preconosce i suoi (quelli che accettano la salvezza) e perciò li predestina, anzi li prepara per la sua gloria. Quindi, alla luce di queste considerazioni, appare abbastanza difficile vedere in questo passo la sovranità di Dio nella salvezza con l’immagine di un Dio capriccioso che agisce arbitrariamente, perché il senso dell’intero brano proprio non ce lo permette.


 

Coloro che credono che questo passo voglia indicare la doppia predestinazione di Dio, dimenticano inoltre che Dio non ha bisogno di destinare alcuno alla perdizione, perché di fatto tutta l’umanità è già destinata a perdizione (Ef 2:1-4). Semmai, e sopporta con pazienza chi si ostina a rimanere incredulo e a camminare così verso la perdizione (2 P 3:9; 1 Ti 2:4; Ez 18:23).

egli destina alla gloria coloro che rispondono al suo invito, e il pre-destinare è un pre-ordinare un piano da offrire.


 

5) La predestinazione è l'offerta di una scelta, stabilita "ab origine"


 

Versetti 24-29. Quando Paolo dice «noi» vuole identificarsi con la chiesa, la quale è formata tanto da Ebrei quanto da stranieri. La ragione per cui cita poi i due passi biblici, è per dimostrare a entrambi i gruppi etnici che questa situazione creata con la nascita e sviluppo della chiesa, non è un imprevisto nel piano di Dio, ma era già stata profetizzata. Per quanto riguarda gli stranieri, li vuole rassicurare che ora non sono più da considerare come estranei; per quanto riguarda gli Ebrei, che nonostante la loro posizione di privilegio sono stati reietti. Però alla loro reiezione seguirà un ristabilimento, ma questo avverrà solo per la misericordia di Dio che non li ha voluti distruggere interamente. Quello che è importante rilevare da questi versetti, è che in questo contesto Paolo non sta parlando della scelta di Dio di salvare o meno dei singoli individui, ma sta usando questi esempi per dimostrare che quello che sta accadendo sul piano storico ai popoli e alla nazione d’Israele era già stato pianificato da Dio. Nulla in questi brani, se presi nel contesto, lasciano intendere che Dio predestini specificamente un’anima a essere perduta o salvata, semmai traspare che Dio abbia la facoltà e l’autorità di eleggere una nazione piuttosto che un’altra a portare avanti il suo piano. Se anche poi la nazione scelta fallisse (come ha fatto Israele), Dio porterà avanti il suo piano ugualmente, approfittando del fallimento della nazione medesima per trarre a salvezza anche coloro che prima ne erano esclusi. Quanto a tale nazione, poi, Dio la castigherà come è giusto, ma non per questo le ritirerà le sue promesse.


 

Da tutte le nostre osservazioni su questo brano della lettera ai Romani, in risposta alle domande poste nell’introduzione, emergono queste considerazioni finali:

Tuttavia, ammesso e non concesso che si parlasse di scelte compiute sul piano individuale, bisogna notare che:

Esse riguarderebbero i singoli individui solo nell’ambito dell’influenza che essi avrebbero avuto sui loro discendenti (Isacco e Esaù-Giacobbe) e sulle nazioni da loro derivanti.

Non si tratterebbe di elezione a salvezza o perdizione dell’anima, ma elezione alla partecipazione al piano storico di salvezza portato avanti da Dio per tutta l’umanità.

Anche se si parlasse di salvezza o perdizione eterna, si tratterebbe in ogni caso di risultato delle azioni o scelte dell’individuo già antivedute e dimostrate da Dio (es.: faraone).

Laddove si parla di predestinazione si parla comunque di predestinazione alla gloria (conseguente la preconoscenza) e mai di predestinazione alla perdizione (vd.: Ef 1:3-12).

In quanto creatura l’uomo non ha alcun diritto di giudicare le scelte e le decisioni del Dio sovrano.

Le scelte compiute da Dio nella sua sovranità sono in ogni modo sempre dettate dal suo carattere santo, amorevole e misericordioso, e perciò sono sempre mirate a ottenere la salvezza degli uomini invece che la loro perdizione (vd. 1 Ti 2:4).


 

Dicendo in sintesi quali siano le nostre riflessioni su questo brano, dobbiamo riconoscere che con queste parole, Paolo toglie ogni diritto all’uomo di contestare le scelte che Dio compie. È pur vero che viene evidenziata anche l’ira di Dio verso i ribelli, che, come il faraone, si attirano sempre di più il giudizio verso di loro. Tuttavia, è anche vista la pazienza di Dio la quale porta a sopportare questi ribelli in vista di una più grande salvezza per altri. Il punto su cui insiste Paolo è che tutta l’umanità è colpevole, e nessuno ha diritto alla grazia di Dio. Se Dio sceglie di elargire la sua grazia ad alcuni, gli altri non hanno alcuna base per dire che egli è ingiusto a non averla elargita anche a loro. Se essi dovessero appellarsi alla giustizia, questa schiaccerebbe anche loro. La grazia di Dio, in ogni modo, è molto più grande di chiunque possa immaginare, ma proprio perché è grazia, nessuno ne ha diritto e nessuno può chiedere conto a Dio per come la elargisce, o può dirgli di fare differentemente da come fa.

È dunque una forzatura vedere in questi brani la predestinazione di singole persone a salvezza o a perdizione. Pur essendo sottolineata la sovranità di Dio, coloro che insistono troppo su questa verità, tralasciano la responsabilità dell’uomo che in tutta la Bibbia è molto evidente. Per contro, coloro che puntano sull’assoluta libertà dell’uomo escludono la sovranità di Dio che è altresì sottolineata. È difficile trovare una giusta posizione di equilibrio.

Non parlerei di equilibrio, ma di libertà, offerta a tutti, di vedere un piano di salvezza che va dalla fondazione del mondo fino a noi singolarmente considerati.

Dio aveva messo in conto che il serpente avrebbe tentato Eva e che lei avrebbe ceduto alle allettanti lusinghe di onnipotenza e che Adamo avrebbe scelto di condividere la sorte di Eva piuttosto che rimanere di nuovo solo... con Dio!

Dio allora cacciò Adamo ed Eva dall'Eden perché voleva offrire loro un "nuovo vestito" fatto di pelle di agnello, figura della catarsi in Cristo Gesù, l'agnello di Dio che toglie le foglie di fico della religione umana non salvifica.


 


 


 

Se fosse Dio a predestinare ogni singolo a salvezza o perdizione, l’uomo nel giudizio potrebbe risultare innocente delle proprie azioni; viceversa, se l’uomo fosse assolutamente libero, Dio sarebbe solo uno spettatore impotente di quanto accade nel mondo. Probabilmente il punto d’incontro di questi due opposti si trova a un punto che è al di sopra del nostro orizzonte, e l’uomo dovrebbe fare molta attenzione a prendere una posizione netta (qualsiasi sia) che escluda l’altra, e, ancora peggio, a tacciare di eresia chi sostiene una posizione invece che l’altra. L’equilibrio in questo caso è sinonimo di umiltà e di fede il quale riconosce che le cose rivelate sono per l’uomo, mentre le cose occulte appartengono solamente a Dio (De 29:29).


 

Conclusioni

Tutti i riformatori del passato hanno sempre visto nella predestinazione l'offerta di passare da una condizione di morte eternamente sofferente ad una di vita eternamente gioiosa.

Nessuno ha mai messo in discussione l'autorità di Dio e nemmeno messo in dubbio la Sua abilità di vasaio di uomini nuovi: sono vasi che cambiano destinazione, trasformando "un vaso destinato ad uso ignobile" in un'altro di nobile fattura ed utilizzazione: la catarsi.

Possiamo adesso rispondere:

1- Predestinazione incondizionata? Sì, se si intende che il piano di Dio per la salvezza è senza condizioni.

2- Predestinazione condizionata? Sì, se si intende che l'uomo è libero di trovare la via della salvezza, ma deve soggiacere a delle condizioni ben precise: credere a Gesù, come l'unico in grado di fargli misericordia e come l'unico Figlio mandato da Dio Padre, proprio per questo scopo.

3- Predestinazione dell'uomo? Sì, se si intende che l'uomo è salvato in base ad un piano già predisposto fin dalla creazione del mondo... Sia la luce e la luce fu e venne ad abitare in mezzo a noi e poi nel nostro cuore.

4- Predestinazione dei malvagi? Sì, se si intende pensare che l'uomo, senza Gesù, è già condannato!

5- Predestinazione degli eletti? Sì, se si intende che gli eletti sono coloro che hanno saputo individuare il piano di salvezza di Dio per loro: i loro occhi spirituali si sono aperti ed hanno visto in Gesù... LA VIA!

6- Predestinazione dei malvagi? Sì, se si intende che i malvagi, pur messi in condizione di conoscere l'offerta di salvezza, hanno continuato a preferire le tenebre piuttosto che la luce.


 

Seconda parte

Predestinazione, come predisposizione delle due vie per l'umanità

(considerazioni sulla base di Romani 9:6-33 ad opera di Donato Trovarelli)


 

IL TESTO di Romani 9:6:33

9:6 Però non è che la parola di Dio sia caduta a terra; infatti non tutti i discendenti d'Israele sono Israele;

9:7 né per il fatto di essere stirpe d'Abrahamo, sono tutti figli d'Abrahamo; anzi: "E in Isacco che ti sarà riconosciuta una discendenza".

9:8 Cioè, non i figli della carne sono figli di Dio; ma i figli della promessa sono considerati come discendenza.

9:9 Infatti, questa è la parola della promessa: "In questo tempo verrò, e Sara avrà un figlio".

9:10 Ma c'è di più! Anche a Rebecca avvenne la medesima cosa quand'ebbe concepito figli da un solo uomo, da Isacco nostro padre;

9:11 poiché, prima che i gemelli fossero nati e che avessero fatto del bene o del male (affinché rimanesse fermo il proponimento di Dio, secondo elezione,

9:12 che dipende non da opere, ma da colui che chiama) le fu detto: "Il maggiore servirà il minore";

9:13 com'è scritto: "Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù".

9:14 Che diremo dunque? Vi è forse ingiustizia in Dio? No di certo! (Riveduta: Così non sia.)

9:15 Poiché egli dice a Mosè: "Io avrò misericordia di chi avrò misericordia e avrò compassione di chi avrò compassione".

9:16 Non dipende dunque né da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che fa misericordia.

9:17 La Scrittura infatti dice al faraone: "Appunto per questo ti ho suscitato: per mostrare in te la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato per tutta la terra".

9:18 Così dunque egli fa misericordia a chi vuole e indurisce chi vuole.

9:19 Tu allora mi dirai: "Perché rimprovera egli ancora? Poiché chi può resistere alla sua volontà?"

9:20 Piuttosto, o uomo, chi sei tu che replichi a Dio? La cosa plasmata dirà forse a colui che la plasmò: "Perché mi hai fatta così?"

9:21 Il vasaio non è forse padrone dell'argilla per trarre dalla stessa pasta un vaso per uso nobile e un altro per uso ignobile?

9:22 Che c'è da contestare se Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande pazienza dei vasi d'ira preparati per la perdizione,

9:23 e ciò per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso dei vasi di misericordia che aveva già prima preparati per la gloria,

9:24 cioè verso di noi, che egli ha chiamato non soltanto fra i Giudei ma anche fra gli stranieri?

9:25 Così egli dice appunto in Osea: "Io chiamerò mio popolo quello che non era mio popolo e amata quella che non era amata";

9:26 e "avverrà che nel luogo dov'era stato detto: Voi non siete mio popolo, là saranno chiamati figli del Dio vivente".

9:27 Isaia poi esclama riguardo a Israele: "Anche se il numero dei figli d'Israele fosse come la sabbia del mare, solo il resto sarà salvato;

9:28 perché il Signore eseguirà la sua parola sulla terra in modo rapido e definitivo".

9:29 Come Isaia aveva detto prima: "Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato una discendenza, saremmo diventati come Sodoma e saremmo stati simili a Gomorra".

9:30 Che diremo dunque? Diremo che degli stranieri, i quali non ricercavano la giustizia, hanno conseguito la giustizia, però la giustizia che deriva dalla fede;

9:31 mentre Israele, che ricercava una legge di giustizia, non ha raggiunto questa legge.

9:32 Perché? Perché l'ha ricercata non per fede ma per opere. Essi hanno urtato nella pietra d'inciampo,

9:33 come è scritto: "Ecco, io metto in Sion un sasso d'inciampo e una pietra di scandalo; ma chi crede in lui non sarà deluso". (Epistola ai Romani, versione Nuova Riveduta)


 

Il "progetto salvezza"

Si ringraziano quanti hanno spiegato magnificamente questo passo, autori di commentari, pastori evangelici e studiosi, ed ultimamente il past. Filippo Chinnici che ha compiuto una revisione di un lavoro di Marco Miotto. A sostegno di tale pregevole studio, mi è sembrato utile approfondire ulteriormente alcuni aspetti.

Giustamente infatti il testo di Romani 9:6-33 va inserito necessariamente nel contesto della stessa epistola che parte dal capitolo primo e si conclude nel capitolo undicesimo: il progetto salvezza per grazia.

Tale salvezza per "sola grazia divina" è "da Cristo in poi" riservata non solo ad alcuni giudei per nascita ma anche a quei non giudei che l'avrebbero voluta, perché il Messia tanto atteso era finalmente venuto e perciò i veri eredi della promessa di Abrahamo, non sarebbero più quelli appartenenti alla sua progenie naturale ma quelli che si sarebbero riconosciuti nella sua promessa, per la fede in Gesù Salvatore, così come spiegato in un precedente capitolo della stessa epistola ai Romani. L'origine di tutto ciò è l'applicazione finale della sovranità di Dio, dalla quale derivano la Sua "giustizia" e la Sua "Grazia".

In questo lavoro di spiegazione dottrinale, l'apostolo Paolo risolve definitivamente questioni apparentemente in contraddizione fra loro, chiarendo anche "il vero senso delle cose di Dio", come di chi le ha ricevute direttamente da Dio, cosa del resto da lui apertamente dichiarata: "Dico la verità in Cristo, non mento, poiché la mia coscienza me lo conferma per mezzo dello Spirito Santo" (Romani 9:1)


 


 

La predestinazione vista da altri evangelici

Nel Commentario biblico edito dalla Claudiana troviamo alla voce "Predestinazione" un commento di Paolo Ricca che spiega che nell’A. T. domina il concetto di "elezione", mentre quello di pre­destinazione praticamente non com­pare. Compare invece nel tardo giu­daismo e, più chiaramente anco­ra, nei testi di Qumran.

"Nel N.T. invece troviamo che nella predicazione di Gesù vi sono accenni alla realtà della predestinazione (ad es. Matteo 24:40; Marco 4:11-12; Marco 13:20,22,27; Matteo 11:25-27; 25:34) senza che si possa parlare di una vera e propria dottri­na della predestinazione: non si trat­ta comunque di una nota dominante nella predicazione di Gesù."

L'Autore continua dicendo che "La pre­destinazione come tema teologico si trova invece in Paolo (Rom. 8:28-30; Ef. 1:3-15 e soprattutto Rom. 9-11, dove è anche affermata la doppia predestinazione), mentre in Giovan­ni costituisce piuttosto un presup­posto teologico (6:37,44,65; 8:43 ss.; 10:29; 17:2,6,9,12,24). L’idea della predestinazione compare ancora in altri libri del N. T., in particolare nella I Pietro e nelle Pastorali e, in modo più evidente ancora, nel­l’Apocalisse. Mentre quindi si può e si deve parlare della predesti­nazione come di una dottrina bi­blica, occorre precisare che essa è da un lato legata alla storia della salvezza (dalla quale è stata so­vente, ma a torto, dissociata) e non può quindi mai diventare una dot­trina metafisica; d’altro lato essa esprime il misterioso e insondabile agire di Dio, i cui pensieri - an­che e proprio quelli rivelati - non sono i nostri pensieri, e le cui vie - anche e proprio quelle che per­corre per chiamare e richiamare gli uomini - non sono le nostre vie."

Giustamente dunque la predestinazione è un tutt'uno con la SALVEZZA in Cristo Gesù e non è nulla di diverso di ciò che in altri termini costituisce la giustificazione per fede, la redenzione, la chiamata, la nuova nascita e l'elezione vera e propria come figliolanza di Dio.

L'elezione infatti implica una scelta da parte di Dio. Giorgio Girardet alla voce "elezione" afferma che "la Bibbia adopera la parola nel senso positivo di una divina preferenz­a e predilezione, lasciandone nell’ombra l’aspetto negativo, cioè l'esclusione di coloro che non sono scelti."

Questo fatto è importante perché rientra nella logica di Dio scegliere chi vuole essere scelto e non scegliere chi non vuole essere scelto, in piena conformità di ciò che sta scritto nell'Evangelo di Giovanni 3:18: "Chi crede in lui non è giudicato; chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figliuol di Dio."

Ciò è anche in linea con quanto avevano affermato tutti i profeti ed in particolare Isaia che dice: "Mai si era udito, mai orecchio aveva sentito dire, mai occhio aveva visto che un altro dio, all'infuori di te, agisse in favore di chi spera in lui." (Isaia 64:4)

Infatti la predestinazione alla salvezza è sempre un atto unilaterale di Dio: nessun uomo potrà mai pretenderla, o comprarla, o contrattarla. E' sempre Dio che fa misericordia a chi vuole. Ciò non piace a coloro che vorrebbero mantenere il coltello dalla parte del manico e pretendere di avere la libera scelta, sempre e comunque. La salvezza va chiesta dall'uomo, perché non ce l'ha. Egli deve sottostare a Dio, che gliela dà! Questa è l'unica condizione che Dio ha posto per accondiscendere con questo dono "grazioso": la sottomissione totale dell'uomo. Del resto non potrebbe essere diversamente. Nessuna persona darebbe una propria cosa ad un altra, se la prima non rientra nelle grazie della seconda... La stessa cosa per il Dio Creatore di tutte le cose!

Quindi la predestinazione sta nella possibilità di credere che "Egli ci ha salvati non per opere giuste che noi avessimo fatte, ma secondo la sua misericordia, mediante il lavacro della rigenerazione e il rinnovamento dello Spirito Santo, che Egli ha copiosamente sparso su noi per mezzo di Gesù Cristo, nostro Salvatore." (Tito 3:5-6)

Il Girardet continua dicendo che "Dio elegge, cioè si rivolge o a un popolo o singolarmente all’uomo per farlo partecipe della sua immutabile decisione.

Egli dice: "Nell’Antico Testamento Dio elegge Abramo (Neh. 9:7, cfr. Gen. 12:1-3) e dopo di lui l’intero popolo di Israele (Deut. 4:20; 14:2; Amos 3:2) e stabilisce con quest’ul­timo una relazione unica, il PAT­TO; elezione e patto sono stret­tamente collegati; l’elezione pre­suppone anche una visione univer­salistica del mondo.

Fra tutti I popoli, Dio ha scelto Israele non per la sua importan­za o i suoi meriti, ché anzi Israele è un piccolo popolo dal collo duro (Deut. 7:8; 9:5-6): l’elezione è l’o­pera della GRAZIA e dell’amore di Dio (Deut. 7:8; 10:14-15). Per es­sa Israele è divenuto il possesso particolare dl Dio (Salmo 135:4), la sposa di Yahweh (Ger. 3:2), Il suo tesoro prezioso (Es. 19:3-6); dalla certezza dell’elezione scaturisce una fiducia che nessuna catastrofe può scuotere; su questa certezza il II Isaia fonda il suo messaggio con­solante: Non temere! (Isaia 43:1-7; 44:1-5). Tuttavia, se Dio ha scelto Israele e lo difende e lo protegge, non è perché egli goda di queste cose come di un privilegio negato agli altri (secondo l’idea che spesso ci facciamo del “popolo eletto”), ma affinché egli sia uno strumento nelle mani di Dio (Gen. 12:3), il testimonio della sua potenza in mezzo al popoli (Isaia 43:10). Dio elegge per uno scopo che va al di là della figura dell’eletto: questi di­viene uno strumento per l’opera che Dio vuole compiere nella sto­ria, fra gli uomini (Isaia 49:1-6). Dio non elegge dunque genericamente alla salvezza, ma elegge per uno scopo: elezione è anche responsabilità davanti a Dio.

Qualche volta la parola “eletto” si trova nell’A. T. riferita ad una sola persona, per es. Davide (Il Sam. 6:21; Sal. 78:70), il re in ge­nere (Sal. 89:3,19), il Servo dell’Eterno (Isaia 42:1; cfr. Mt. 12:18).

Nel N. T. la parola conserva il medesimo significato: eletto è colui che Dio ha chiamato ad essere suo strumento. Così l’Eletto per eccellenza è Gesù Cristo (Lc. 9:35; 23:35; Mt. 12:18; la pietra eletta I Pi. 2:6) e, per suo meno, i cre­denti. I discepoli di Gesù sono ta­li in quanto sono stati scelti da lui (Giov. 15:16; Ef. 1:4). Nella chiesa apostolica si sentiva tanto forte­mente che la elezione di Dio era il fondamento della fede, che la pa­rola “eletto” divenne sinonimo di credente, cristiano (Col. 3:12; Mt. 24:22; Rom. 16:13; I Pietro 1:1; 2 Tim. 2:10 ecc.) e servi a designare la chiesa (2 Giovanni 1). Anche qui l’elezione non dipende dal valore dell’uomo; anzi, Dio sceglie coloro che il mondo disprezza (I Cor. 1:27-28; Giac. 2:5), non per i loro meriti, ma per grazia (Ef. 2:8-9), in virtù del suo amore (Giov. 15:9, 16). L’elezione ha il suo fondamen­to nella immutabile decisione di Dio (Ef. 1:4; Il Tess. 2:13), ma non significa scelta ad esclusione di al­tri che, per non essere eletti, do­vrebbero essere condannati. L’elet­to non è chiamato ad esclusione de­gli altri, perché goda egoisticamen­te della sua salvezza, ma è chia­mato a beneficio degli altri, verso i quali la sua vocazione è diretta. Così Paolo è eletto in vista della missione (At. 9:15) e i discepoli sono anche eletti affinché vadano ad annunziare l’Evangelo (Mc. 6:7)."